Tenerezza: usare le mani e il cuore per accarezzare l’altro.
Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità,la password di questa settimana è tenerezza. Ma che cos’è la tenerezza? Papa Francesco in un video messaggio a sorpresa, inviato ai partecipanti al TED 2017, l’ha definita così: “È l’amore che si fa vicino e concreto, è un movimento che parte dal cuore e arriva agli occhi, alle orecchie e alle mani. La tenerezza è usare gli occhi per vedere l’altro, usare le orecchie per sentire l’altro, per ascoltare il grido dei piccoli, dei poveri, di chi teme il futuro; ascoltare anche il grido silenzioso della nostra casa comune, della terra contaminata e malata. La tenerezza significa usare le mani e il cuore per accarezzare l’altro. Per prendersi cura di lui”.Papa Francesco all’inizio del suo pontificato ci ha esortato: “non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza” (Omelia 19 marzo 2013). E più volte ha ribadito che il mondo di oggi ha bisogno della “forza rivoluzionaria della tenerezza” (Evangeli Gaudium n. 288). Perché? Perché oggi viviamo in un contesto sociale che si fa sempre più violento e duro. Sia a livello personale, sia a livello globale, la violenza e la durezza sembrano fare da padrone. Ogni giorno, infatti, leggiamo e ascoltiamo notizie di violenze, omicidi, litigi e tensioni, guerre che da un momento all’altro potrebbero scoppiare, giochi di potere fra i potenti che decidono le sorti delle nazioni, interessi economici delle superpotenze capitaliste che schiacciano i singoli e la loro dignità. Quante volte mi è capitato di sentire da persone che ascolto o incontro: “Padre il mondo ormai è diventato una giungla!”.Ecco per quale motivo dobbiamo riscoprire la forza rivoluzionaria della tenerezza, a partire dalla vita e dalle relazioni di ogni giorno .La tenerezza, dunque, non deve essere confusa con la sdolcinatezza o la svenevolezza! Essa è forza, è la vera forza che ci permette di cambiare la realtà attorno a noi e si oppone, come dice il teologo Carlo Rocchetta a: “Due atteggiamenti esistenziali piuttosto diffusi e quasi sempre connessi fra loro: la durezza di cuore, intesa come barriera, muro, rigidità, chiusura mentale, e il ripiegamento su di sé come egocentrismo, incapacità a volgersi all’altro da sé, rifiuto di dialogo e di scambio”. (Carlo Rocchetta, Teologia della tenerezza, ed. Edb, pp. 27-28).Chi nella vita è realmente forte, sa essere anche tenero e sa vivere la tenerezza. Mi viene in mente scrivendovi queste parole, l’esempio di San Giovanni Paolo II, un uomo forte, in grado di gridare con forza ai mafiosi di convertirsi perché prima o poi verrà il giudizio di Dio e nello stesso tempo un pontefice pieno di tenerezza, capace di accarezzare con autentico amore bimbi, giovani, adulti, sofferenti. O l’esempio di Madre Teresa di Calcutta, forte nel gridare il suo no all’aborto nel momento in cui le consegnarono il Nobel per la pace, davanti agli intellettuali e potenti di tutto il mondo, e contemporaneamente piena di tenerezza nel chinarsi sulle piaghe dei più poveri tra i poveri. Ella ripeteva sempre: “Chi si “spaccia” per forte, in realtà è violento e duro, non fa altro che mascherare la propria paura con la violenza stessa, non conoscono il potere della tenerezza e della gentilezza. Un potere che è capace di aprire i cuori alla relazione e all’incontro. Anche nella Sacra Scrittura la parola tenerezza è una parola centrale. Nel libro del profeta Isaia, ad esempio, Dio si rivolge al popolo d’Israele con parole piene di tenerezza: “Sion ha detto il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me” (Is 49,14-16). O quando deve ricordare al popolo la profondità del suo amore, utilizza le immagini più belle e tenere che caratterizzano l’amore: l’immagine paterna, materna e sponsale. Così, nel libro del profeta Osea, Dio dice riguardo ad Israele: “Quando Israele era fanciullo, io lo amai […]. Io insegnai a Efraim a camminare, sorreggendolo per le braccia […] Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Osea 11,1-4).Dio, dunque, l’Onnipotente è il Dio della tenerezza. La sua onnipotenza non è l’onnipotenza di Colui che sottomette, domina e opprime l’uomo, al contrario è l’Onnipotenza dell’amore che si fa tenerezza e misericordia per ognuno di noi. (nella vicenda del popolo d’Israele, infatti, e dei suoi rapporti con Dio, possiamo vedere simboleggiata la vicenda di ciascuno di noi) È importante, cari lettori e lettrici, riscoprire oggi la tenerezza come modalità di relazione “buona” agli altri, al mondo e a noi stessi. Essa, infatti, è: “componente costitutiva per una piena realizzazione dell’umanità della persona. Non è pensabile che un uomo o una donna, in qualunque condizione di vita si trovino […] possano essere persone adulte senza un’attivazione effettiva di questo sentimento; è certo, in ogni caso, che saranno persone profondamente sole e infelici ((Carlo Rocchetta, Teologia della tenerezza, ed. Edb, p. 10).Concludo l’articolo di questa settimana lasciandovi le parole di una grande poetessa americana, Emily Dickinson che nella sua poesia ha saputo comprendere il valore della tenerezza e che vuole essere per ciascuno di noi un augurio. In una lettera indirizzata a Susan Gilbert, all’inizio dicembre 1865, ella scrive: “Grazie per la tua Tenerezza – trovo che sia l’unico cibo che la Volontà accetti, e nemmeno dalle dita di tutti” ( Emily Dickinson, lettera 312 in E. Dickinson, Le lettere 301-330, tr.it. di G. Ierolli). Ci auguriamo di scambiarci e donarci quotidianamente questo cibo per rendere più bello e più vivibile il mondo che ci circonda.