Attesa:Operare per il Bene,desiderare l’Infinito.

Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità,la password che vi consegno questa settimana è “attesa”. La parola attesa ci richiama immediatamente il verbo corrispondente “attendere”, che ha fondamentalmente due significati: aspettare qualcuno o qualcosa e tendere verso qualcuno o qualcosa con la mente e il cuore; attendere deriva, infatti dal latino ad-tendere, ossia, “tendere a”. In questo periodo come cristiani stiamo vivendo il tempo liturgico dell’avvento. Tempo che ci ricorda la venuta della vera e unica novità che ha rivoluzionato il mondo: Gesù di Nazareth. La sua venuta “nella debolezza della carne” duemila anni fa, che lo si voglia o no, ha segnato la storia umana, il suo ritorno su questa terra “nella maestà della gloria” che i cristiani ancora attendono. Gesù è l’unica vera meta capace di dare senso alla vita e di avvalorare tutte le felicità e le realtà umane che viviamo ogni giorno. Spesso, però, lo si dimentichiamo e accade a ciascuno di noi quello che descrive Simon Weil, mistica e filosofa ebrea del ‘900, convertitasi al cristianesimo in punto di morte: “Dio e l’umanità sono come un amante e una amante che si sono sbagliati circa il luogo dell’appuntamento. Ciascuno e lì prima dell’ora, ma sono in due posti diversi, e aspettano, aspettano, aspettano. Lui è in piedi, immobile, inchiodato al posto per la perennità dei tempi. Lei è distratta e impaziente. Sventurata se ne ha abbastanza e se ne va!” (S. Weil, Quaderni, Vol. IV, p. 178).Il primo significato del verbo lo si può cogliere in una delle rappresentazioni teatrali più interessanti e belle del ‘900, ovvero, la celebre opera di Samuel Beckett (1906-1989) intitolata “Aspettando Godot”. Un’opera in cui, questo grande scrittore del XX° secolo, immagina due vagabondi, Estragone e Valdimiro, che si trovano sotto un albero in una strada di campagna in attesa di un certo Godot che ha dato loro appuntamento. I due non conoscono chi sia Godot, ne sanno con precisione il giorno e il luogo dell’appuntamento, credono, però, che quando questi arriverà li porterà a casa sua, gli darà qualcosa di caldo da mangiare e li farà dormire all’asciutto. Improvvisamente arriva un giovane che annuncia loro che Godot arriverà domani. I due pensano allora di suicidarsi, ma poi cambiano progetto e rimangono nuovamente in attesa di Godot. La stessa scena si ripete nuovamente il giorno seguente e dopo aver nuovamente progettato il suicidio, i due continuano nella loro assurda attesa.Ci sono state molte interpretazioni di quest’opera teatrale che si colloca all’interno del genere teatrale dell’“assurdo”. Vi è, infatti, chi ha visto simboleggiato in Godot: Dio, il destino, la morte, la fortuna. Beckett si è sempre rifiutato di dare spiegazioni e ha dichiarato spesso: “se avessi saputo chi è Godot l’avrei scritto nel copione”.Personalmente nei due personaggi principali, Estragone e Vladimiro, vedo simboleggiato l’essere umano contemporaneo che rischia di vivere in una perenne attesa e nella continua esperienza della frustrazione delle proprie attese. L’uomo dalla vita attende tante cose: amore, felicità, giustizia, pace, realizzazione, amicizia, significato, ecc., quest’attesa, però, che è positiva deve sempre coniugarsi all’impegno inteso come “darsi da fare”, “sporcarsi le mani”. Spesso mi capita di parlare o ascoltare giovani, e noto come nel loro cuore – nonostante molti dicano che non possiedano più sogni, attese e obiettivi – vi sono tanti desideri e speranze. Il problema e che questi desideri e speranze vengono vissute soltanto nella dimensione dell’attesa (intesa come aspetto passivamente che accada qualcosa! Mi accontento di ciò che mi offre l’”oggi”) e per tale ragione non trovano e non possono trovare una soddisfazione e realizzazione concreta. L’attesa (che è cosa buona e giusta perché dice desiderio, progetto, sogno, ecc.) deve essere sempre unita all’impegno. Bisogna essere protagonisti della propria vita e non spettatori! La televisione ci ha abituati ad essere persone impoltronate che attendono l’avverarsi di chissà ché! Dico sempre ai giovani che vengono a lamentarsi delle cose che mancano loro: “ma che aspetti che qualcuno venga a bussarti a casa e presentarti su un piatto d’argento le cose che attendi e desideri? Le cose più belle, nascono sempre dal sacrificio! Lo dice Platone, il grande filosofo dell’antichità. Gli ostacoli e le difficoltà ci sono, ma tu non scoraggiarti!” e per chi crede aggiungo: “Dio ti è accanto!”. Per chi non crede dico ugualmente: “Anche se pensi che non esiste, Dio ti è ugualmente accanto, perché ti ama e sei suo figlio, sua figlia e ti aiuterà!”.Vi è anche un altro dramma, però, che può segnare la vita di giovani e adulti. Ovvero, il non attendere più nulla dalla vita e dagli altri. Don Tonino Bello, grande vescovo e uomo di Dio, sosteneva che la peggiore solitudine nella vita è quella di chi non si attende più nulla dalla vita e dagli altri e non si sente più atteso da nessuno! È uno stato dell’animo che, purtroppo, segna molti nostri fratelli e sorelle in umanità oggi e per i quali bisogna adoperarsi per aiutarli a rialzare lo sguardo e vedere che esiste ancora una speranza e una luce nell’orizzonte.Ecco, allora, che il verbo attendere e il sostantivo attesa, devono essere declinati nel secondo significato, ovvero, come “tendere a”, “tendere verso qualcuno o qualcosa”. L’attesa più che un atteggiamento passivo, deve essere un atteggiamento attivo, dinamico. Bisogna mettersi in cammino verso una meta. Bisogna mettersi in cammino verso la verità, il bene, la giustizia, l’amore, la solidarietà, la pace, ecc. tutti valori che stanno al di là di noi stessi e che dobbiamo scoprire, cercare e incarnare nella nostra vita. E attraverso questi valori dobbiamo tendere verso Colui che è la fonte di tutti questi valori: Dio.Auguro a ciascuno di voi cari lettori e lettrici e a me, di vivere sempre così la vita in un attesa che non è sterile passività, ma capacità di sognare in grande, sporcandosi ogni giorno le mani e tendendo sempre con il cuore e la mente verso il bene, e in ultima analisi verso Dio.