San Giuseppe: la più bella figura d’uomo concepibile che il Cristianesimo ha realizzato.

Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità, visto che oggi ricorre la solennità di San Giuseppe, è doveroso spendere una parola sulla figura stupenda di questo santo. Scriveva don Giussani: “San Giuseppe è la più bella figura d’uomo concepibile e che il Cristianesimo ha realizzato”. (Luigi Giussani). Si è proprio vero, Giuseppe di Nazareth è la più bella figura d’uomo concepibile! Ma chi era San Giuseppe? I Vangeli non ci dicono molto sulla sua figura. Marco non ce ne parla, Giovanni neppure, soltanto Matteo e Luca ci forniscono dei dati su di lui. La scarsità di dati che possediamo sulla figura di Giuseppe di Nazareth ha favorito il nascere di tutta una letteratura apocrifa che ci fornisce sue notizie, ma che non è stata riconosciuta dalla chiesa come canonica, cioè, ispirata da Dio. L’esempio più eclatante è il proto-evangelo di Giacomo dove viene narrato come San Giuseppe venne scelto per essere lo sposo di Maria. Da questo protoevangelo è nata tutta la tradizione che tende a rappresentare San Giuseppe come un uomo anziano e con un bastone fiorito in mano (poi divenuto un giglio). Ma, in realtà, San Giuseppe probabilmente era un uomo giovane, all’incirca sui 40-45 anni. La tradizione che lo rappresenta anziano aveva lo scopo di difendere la verginità della Madonna. Dunque chi è San Giuseppe? I vangeli parlando di Gesù dicono che è “figlio del carpentiere”(Mt 13,55). La parola greca usata per indicare il mestiere di San Giuseppe è tekton, termine che può essere tradotto in molti modi: falegname, carpentiere, costruttore di attrezzi per l’agricoltura. In generale un lavoratore del legno e della pietra. Probabilmente Giuseppe di Nazareth è stato un po’ tutto questo. In modo particolare deve essere stato un carpentiere: al tempo di Gesù vi era, infatti, una forte espansione edilizia, venivano costruite molte  città, per cui il lavoro San Giuseppe probabilmente era molto richiesto. Ciò ci fa capire che Gesù deve essere cresciuto in una famiglia di condizione non agiata, ma sicuramente dignitosa. Da San Giuseppe, Gesù ha imparato probabilmente il mestiere.

Ma la cosa più importante che i vangeli ci dicono su San Giuseppe non è tanto la sua professione, ma il fatto che lui era un uomo giusto. In che cosa è consistita questa giustizia di San Giuseppe? Noi quando pensiamo alla giustizia essendo figli del diritto romano, intendiamo la giustizia come “dare a ciascuno il suo”. Giustizia è dare all’altro ciò che gli spetta (a qualunque livello). La giustizia nella Bibbia, invece, ha un significato completamente diverso. L’uomo giusto per la Bibbia, in primo luogo è colui che osserva integralmente la Legge di Dio, la Torah. Non in modo legalistico come facevano gli scribi e i farisei, ma cogliendone il cuore e la verità più profonda, che Gesù stesindicato: amare Dio con tutta la propria persona e il prossimo come se stessi. (cfr. Mt22,35-40;Mc12,28-31). San Giuseppe ha osservato la legge divina proprio in questo modo, è stato un zelante osservante dei comandamenti di Dio. L’uomo giusto, in secondo luogo, è colui che cerca ogni giorno gioiosamente e fedelmente la volontà di Dio. San Giuseppe, dunque, è stato un uomo giusto perché ha cercato la volontà di Dio ogni giorno con gioia e generosità! Nel momento in cui si è trovato dinanzi a Maria, incinta, Giuseppe non ha dubitato dell’integrità della Madonna, come troppo spesso banalmente si afferma. Egli ha intuito che in Maria si stava compiendo un mistero talmente grande, del quale lui non era degno e che non riusciva a comprendere pienamente. Ecco perché Giuseppe decide di licenziare in segreto Maria.

In questo travaglio interiore, Dio viene in  aiuto a San Giuseppe: “Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Giuseppe allenato alla ricerca della volontà di Dio, nel momento in cui Dio si è fatto presente, è stato capace di rinunciare ad un proprio progetto di paternità legittima, per fare spazio ad un progetto che lo superava, lo trascendeva e che lentamente ha compreso: essere il padre e il custode del Redentore.

DON TONINO BELLO

Un grande uomo di Dio don Tonino Bello ha descritto questa verità in una bellissima lettera dedicata a San Giuseppe:

Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso?

O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte, sotto l’arco della sinagoga?

O forse un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre abbassando gli occhi splendidi, per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di spigolatrice?

Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi?

È la notte tu hai intriso il cuscino con lacrime di felicità.

Ti scriveva lettere d’amore? Forse si! E il sorriso con cui accompagni il cenno degli occhi verso l’armadio delle tinte e delle vernici mi fa capire che in uno di quei barattoli vuoti, che ormai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna!

Poi una notte hai preso il coraggio a due mani e sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei Cantici: “Alzati amica mia, mia bella e vieni, perché ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato, e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tuia voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro.

E la tua amica, la tua bella si è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto.

Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvè. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrastava.

Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre.

Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”. Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente”. (Don Tonino Bello, lettera a San Giuseppe).

San Giuseppe è stato anche icona della vera paternità. Il vangelo di Matteo ci narra l’episodio della fuga in Egitto della famiglia di Nazareth:

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama,

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più. (Mt 2,13-18).

Giuseppe è icona della vera paternità, perché pur non essendo padre naturale di Gesù, lo ha amato prendendosi cura di lui e proteggendolo. In tutti i brani evangelici che parlano di San Giuseppe c’è una frase che ritorna sempre: “prese il bambino e sua madre”. Il prendere con sé, esprime la cura, l’amore, la protezione, la premura di Giuseppe nei confronti di Gesù e Maria. Inoltre, l’episodio della fuga in Egitto ci dice che Giuseppe prese Gesù e Maria con sé “di notte”. Un particolare che non indica soltanto un dato cronologico: era notte, era buio. Esso, indica altresì, un dato simbolico: Giuseppe si prese cura di Gesù e Maria, di notte e di giorno, ovvero, nei momenti lieti, gioiosi, e anche nei momenti tristi, di prova e sofferenza.

Giuseppe è icona della vera paternità, che ama sempre, sia nella gioia sia nel dolore. Purtroppo la vita spesso ci fa conoscere esempi di padri e madri che mettono al mondo figli/e e poi non li amano, come ci fa conoscere l’esempio di padri e madri che si prendono cura di figli che non hanno generato e li amano come fossero propri. La vera paternità è sinonimo di amore, di dare la vita, di sacrificarsi per l’altro e per il bene dell’altro. Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità, in questa solennità di San Giuseppe rivolgo a quanti di voi portano il nome di questo grande santo, gli auguri più affettuosi. Rivolgo gli stessi auguri a tutti i papà, invitandovi a guardare all’esempio di San Giuseppe per imparare cosa significhi veramente paternità.