Perdono: dalle macerie può sorgere un giardino fiorito.

Cari lettori e lettrici di Cronaca e Legalità, la password che vi propongo questa settimana è perdono. Una parola un po’ difficile e soprattutto considerata ormai obsoleta nel nostro vocabolario quotidiano. “Come si può perdonare, padre? Se si tratta di cose piccole, della quotidianità, forse riusciamo a fare passaggio e dimenticare, ma se sei ferito, se sei offeso dagli altri, se ti spogliamo ingiustamente di ciò che ti appartiene come possiamo perdonare? È impossibile!”. Sono le parole che mi sono sentito rivolgere tante volte da persone che ho ascoltato nel mio ministero sacerdotale. C’è da dire che le relazioni umane sono spesso attraversate da tensioni, litigi, lotte e guerre. Si rinnova ogni giorno la vicenda di Caino contro Abele! Il fratello contro l’altro fratello, l’uomo contro l’altro uomo. Eppure Gesù ha risposto alla domanda di Pietro: “Signore quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”, con queste parole: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,21-22), che nel linguaggio biblico significa perdonare sempre. La domanda dunque è: si può perdonare oppure non si può perdonare? E questa domanda ne presuppone una ancora più profonda: “Il perdono fa bene o fa male?”.

È curioso notare come da diverso tempo nel mondo degli psicologi si sostenga l’importanza del perdono nelle relazioni. Tempo fa parlando con un amico e collega psicologo che insegna presso l’università di Messina, mi ha detto che da diverso tempo gli psicoterapeuti stanno elaborando degli approcci per curare le persone che s’incentrano sul perdono, in quanto si constata sempre di più che il rancore, la rabbia, l’odio sono fonte di tantissimi problemi psicologici e di tanta sofferenza. E devo dire che le sue parole mi hanno aiutato a rafforzare una convinzione che mi sono fatto a partire dal mio ministero sacerdotale. Tutte le volte, infatti, che ascolto qualcuno e questi mi espone la sua fatica a perdonare, chiedo semplicemente: “ma tu sei felice? Sei in pace rimanendo così?”. Nella maggior parte dei casi, mi è stato risposto: “No! padre il rancore mi logora dentro; faccio quotidianamente tante cose, ma penso sempre a quella persona, a quel fatto, a quell’evento che mi ha ferito! E non ho pace”. Ecco dunque la ragione per cui il perdono è un atto che dovremmo recuperare nella nostra vita. Il perdono, infatti, guarisce il nostro cuore e ci libera dalla dipendenza dalle persone che ci hanno ferito. Esiste, infatti, oltre alle dipendenze affettive o alle dipendenze di vario tipo (droga, alcool, gioco, ecc.) anche una dipendenza da rancore, una dipendenza dalle persone che ci hanno ferito, o dal passato che ci ha segnato, che continua a perseguitarci se non lo interrompiamo con il perdono. Ha detto San Giovanni Paolo II nell’ultimo libro pubblicato prima della sua morte, memoria e identità, “Il limite del male è la misericordia”. Si l’unico vero limite che possiamo mettere al male ricevuto, è il perdono. E perdonare non significa che la giustizia non deve essere messa in pratica, che non ci si debba difendere anche in un tribunale se abbiamo subito danni tali d dovervi ricorrere. Non dobbiamo confondere perdono e buonismo o ingenuità. Però anche quanto ci fosse fata giustizia del male subito, se non liberiamo il nostro cuore con il perdono, rimarrà dentro di noi una profonda inquietudine. Ha scritto una famosa scrittrice americana, Flannery O’Connor: “Ciò che devi accettare adesso è il perdono e io ti dico che questo è la cosa più difficile  da accettare e che devi farlo continuamente” (Flannry O’Connor, Sola a presidiare la fortezza. Lettere, p. 32).

Ma come perdonare? Dove trovare la forza per farlo? L’unica risposta è che solo in un percorso di fede è possibile giungere a perdonare pienamente chi ci ha fatto del male. Il perdono non è un atto naturale e spontaneo. È la fede, la grazia di Dio che può darci questa capacità. Ecco perché soltanto chi compie un cammino di fede, chi vive in comunione con Dio, chi attinge forza da lui tramite i sacramenti, la preghiera, diventa capace di perdonare veramente e libera il proprio cuore dal peso dell’odio e del rancore. Arrivare a perdonare, però, non è un atto che si compie in un istante, semmai è un processo che può durare molto tempo, è un cammino! Per viverlo bisogna decidere di iniziare il cammino e percorrerlo fino in fondo. Ne vale la pena e ci darà una profonda libertà e pace interiore.

MONSIGNOR GIANCARLO BREGANTINI ARCIVESCOVO DI CAMPOBASSO

Concludo raccontandovi un fatto che mi è capitato tempo fa. Quando ero studente e non ancora sacerdote, ho accompagnato un gruppo di giovani ad un campo estivo. Siamo andati a trovare l’attuale Arcivescovo di Campobasso, Mons. Giancarlo Bregantini, che al tempo si trovava in Calabria. Un vescovo in prima linea contro la malavita organizzata. Un ragazzo, Pasquale gli ha chiesto: “Eccellenza, attorno a noi c’è tanto male, tante ingiustizie! Noi a volte ci sentiamo impotenti e non sappiamo cosa fare? Ci dia una parola di speranza!”. Mons. Bregantini gli ha risposto: “Vedi Pasquale, il male è come un fiume in piena. Se tu ti metti davanti a questo fiume e gli butti contro altra acqua, il fiume ti travolgerà, se, invece, dinanzi al fiume cominci a costruire una diga, ovvero, gli opponi il bene, allora il fiume del male si arresterà. Auguro a ciascuno di voi cari lettori e lettrici, di sperimentare la potenza e la forza del perdono, gesto compiuto non ai deboli, ma dai veri forti, quelli che hanno cambiato e continuano a cambiare la storia, come Gesù di Nazareth che dall’alto della croce ha detto verso i suoi crocifissori: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).