Intervento di Basilicata Possibile.

Riceviamo e pubblichiamo

La Basilicata nei prossimi dieci anni: prima nella transizione energetica oppure ultima a uscire dal fossile?

Il 26 Ottobre andrà a rinnovo il permesso Eni-Shell in Val d’Agri mentre è imminente l’avvio delle ulteriori attività estrattive di Total- Mitsui – Shell con un nuovo centro oli a Tempa Rossa. Tutto ciò avviene senza che, a fronte degli evidenti rischi ambientali, una vera analisi dell’impatto delle attività estrattive sul tessuto sociale e economico della Basilicata e su come queste potranno condizionare il suo futuro –  rischiando di ipotecare colpevolmente, irrimediabilmente e senza possibili giustificazioni, il futuro, già fosco in verità, delle prossime generazioni – sia stato ancora nemmeno avviato.  

Eppure non mancano elementi per invitare alla prudenza. I gravi fatti all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria in relazione all’illecito smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi da attività estrattive, alle perdite di greggio semi lavorato che hanno interessato la falda acquifera, ci dicono che forse non è più il caso di fidarsi delle “buone intenzioni” delle compagnie petrolifere operanti in Basilicata. Altro che “best available technologies”, quelle che ENI si era impegnata ad utilizzare per minimizzare (al di là dei meri limiti di legge) l’impatto ambientale delle attività estrattive in Val d’Agri. I fatti sin qui accertati, per la loro gravità, hanno indotto la Magistratura a includere il Disastro Ambientale tra le ipotesi di reato. Le indagini in corso puntano, peraltro, ad accertare se la Regione Basilicata fosse al corrente delle perdite copiose di greggio semi lavorato sin dall’anno 2008. Se tutto questo risultasse vero sarebbe doveroso perseguire non solo le responsabilità dirette ma anche quelle politiche e dirigenziali di chi, pur sapendo, ha taciuto. Ma di tutto questo non sembra preoccuparsi né la Giunta Regionale né il Consiglio entrambi apparentemente preoccupati solo di ottenere   incrementi delle entrate rinvenienti dalle royalties e/o da tassazioni aggiuntive, senza che un piano per un loro utilizzo a favore di uno sviluppo di lungo termine della regione, sia stato nemmeno immaginato.  

Nel frattempo ci si dimentica, e sarebbe invece il caso di farlo senza indugi, di costituirsi almeno parte civile nei procedimenti giudiziari in corso (in modo da ottenere almeno il risarcimento dei danni quando accertati). Mentre sarebbe il caso di valutare seriamente l’opportunità di bloccare immediatamente le estrazioni almeno per motivi precauzionali.  Una azione risarcitoria per i danni ambientali e di immagine arrecati al territorio, assieme ad un serio piano di investimenti per la transizione energetica, potrebbe garantire il reimpiego delle maestranze nelle opere di bonifica nel breve termine e, nel medio termine, in nuove attività produttive collegate alla riconversione dell’intero sistema produttivo regionale.  

Se tali fatti non fossero sufficienti a impedire il rinnovo (reso quasi automatico dagli ostacoli normativi all’uopo predisposti dai precedenti Governi), in via subordinata potrebbe ipotizzarsi una proroga limitata nel tempo (uno invece che dieci anni) condizionata: 

a) dalla verifica, con l’interessamento del Ministero dell’Ambiente e della Corte Europea dei diritti Umani, delle effettive capacità della Regione Basilicata di garantire condizioni minime di efficienza e trasparenza delle attività di controllo e monitoraggio che sarebbero necessarie per tutelare la salute dei propri cittadini rispetto ai rischi connessi allo sfruttamento delle risorse petrolifere. Sfruttamento che rischia di estendersi a buona parte della Regione  considerato anche che, a dieci mesi dalla scadenza dei termini di legge per la redazione e condivisione in Conferenza unificata Stato Regioni del cosiddetto PiTESAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) nessuna azione è stata messa in campo dalla Regione per garantire informazione, partecipazione, trasparenza, condivisione con gli Enti locali, sulle aree che detto piano potrebbe destinare a permessi, istanze e rinnovi delle concessioni. 

b) dalla sottoscrizione da parte delle compagnie petrolifere di congrue (almeno tre volte l’investimento realizzato in terra di Basilicata) garanzie fidejussorie rivolte a garantire la copertura dei rischi connessi alle loro attività in modo da evitare che, come la storia ci insegna, i costi delle bonifiche necessarie ricadano sulla collettività.  

c) da una riforma dell’ARPAB che la metta finalmente in condizione di operare autonomamente da condizionamenti politici e/o imprenditoriali, dotandola di risorse tecniche e umane adeguate, restituendole la credibilità necessaria a riconquistare la fiducia dei cittadini.

In questa fase delicata in cui pare che il futuro stesso della nostra Regione possa essere trattato come un affare privato, in una discussione senza alcuna trasparenza che tiene fuori cittadini e parti sociali, chiediamo, in particolare ai parlamentari lucani, di vigilare – proprio nel momento in cui il Governo nazionale annuncia di voler perseguire politiche di transizione energetica –  affinché nulla sia dato per scontato.

 Nessun rinnovo automatico è concepibile soprattutto in una tale condizione di assoluta incertezza (sanitaria, giudiziaria, sui controlli ambientali, etc.). I cittadini lucani hanno già dato. Per questo, alla vigilia della scadenza temporale della concessione Val d’Agri, chiediamo al Governo che venga cancellato il meccanismo delle proroghe automatiche, che si promuova senza indugio la programmazione delle tappe concrete di uscita dell’Italia dal fossile e che gli investimenti annunciati per l’avvio della transizione energetica partano proprio da qui, dalla Basilicata.