Il problema di Maratea non sono le strade che franano.

Si apre una 5 giorni dalla vecchia magia che porta Maratea in contesti culturali difficilmente raggiungibili. Grazie a Nicola Timpone con Marateale alla sua quindicesima edizione, la lucana Maratea diventa scenario cinematografico dai grandi nomi. È esattamente quello che è già accaduto nella serata inaugurale, al netto di una serie di considerazioni amare che non riguardano certo l’evento in questione. Un evento che parla da solo dell’impegno che c’è dietro, ma che meriterebbe tutt’altra gratitudine dai residenti del posto e dagli operatori turistici. Il loro pianto è atavico sulla mancanza o sulla fatiscenza delle infrastrutture, ma il comportamento è esattamente quello di chi ti vuol dire che, se non ci arrivi, per loro è molto meglio. Meno problemi, meno (o niente) lavoro, meno fatica, meno costi. E allora? Allora è vera più che mai la barzelletta dove Dio rispose a Pietro “non preoccuparti non ho commesso nessuna ingiustizia perché devo ancora creare i Marateoti”. Peccato però! La soluzione per il ritorno di Maratea ai suoi antichi fasti è quella di rigenerare la mentalità di tutto il suo popolo, mettendo alla loro guida una classe dirigente che, fregandomene della legge Bassanini, gli vieti di vedere il tramonto del sole nel mare come qualcosa di privato che deve chiudere alle 19 del 25 luglio con 40 gradi ed un evento internazionale in corso, che gli vieti di pensare che in piena estate se lavorano dalle 8 del mattino hanno diritto a chiudere alle 18, che gli imponga una no stop di cortesia e di servizi h24 almeno nei mesi estivi. Viceversa, il problema non sono le strade che franano, ma il loro modo di essere nei confronti dell’unica risorsa che può rendere merito ai luoghi strepitosi che il Padreterno immeritatamente gli ha donato: l’accoglienza.